post scritto il 24 agosto 2019
Sto leggendo il libro di Georgina Reid (foto di Daniel Shipp), The Planthunter, Timber Press. Come dicevo su Instagram, è una lettura quasi per parole chiave: verità, bellezza, caos e piante; ma soprattutto all’interno, più in piccolo, ci sono parole che risuonano meglio e chiariscono alcuni concetti del nostro rapporto con le piante, la natura, il giardino e la cura di esso.
Al momento mi sono fermata a quel che dice David Whitworth:
“In a way, gardeners are always building to a point that never arrives. I often think I’ll fix something and then just sit back, have a cup of tea and enjoy it, but it doesn’t happen. I’ve realized I prefer the rearranging, the tending, the watering. I think “to tend” is my favorite verb. It implies that you are creative, or nurturing, but almost invisibly so. It’s also aspirational. To tend is to sustain a state of caring.”
Per certi versi, essere giardinieri è costruire senza arrivare mai alla fine. Penso spesso che ultimerò un lavoro e poi mi siederò tranquillo a godermi una tazza di tè, ma non succede mai. Mi sono reso conto di preferire il riordino, la cura, il dare l’acqua. Credo che “prendersi cura” sia il mio verbo preferito. Chiama in causa la creatività, il nutrimento, ma in maniera quasi invisibile. È un’ispirazione. “To tend” è sostenere nel tempo la cura.
Mia libera, discutibile traduzione.
To tend in inglese può essere anche detto condurre e servire, nella doppia accezione che ci vede al comando – per così dire – ma anche assoggettati a quel che comandiamo. Che con le piante è una condizione comune e imprescindibile.