post scritto il 23 giugno 2013
Ho visitato Giardino delle Vergini che Piet Oudolf progettò nel 2010 per la Biennale di Architettura.
Dal punto di vista dell’impianto niente da dire, è tutto ben equilibrato. Il giardino è più grande di quanto pensassi e le masse sono solide e proporzionate, le graminacee danno leggerezza e le fioriture sono piccole e aggraziate. È tutto molto giusto, anche un filo monotono, ma credo che in origine ci fossero più piante verticali (i temibilissimi anemoni del Giappone sono pronti a mangiarsi tutto lo spazio, nella competizione vincono sempre loro), manca infatti un po’ di slancio in alto, qualche punto esclamativo, qualche Verbascum, qualche Inula, qualcosa che squaderni la compattezza delle masse.
C’è da dire che il contesto è meraviglioso, la consistenza liquida e rosa di Venezia che alle Corderie diventa tangibile nei passaggi tra luce forte e ombra forte e poi ombra più leggera degli alberi – appena usciti dal padiglione Italia (opere molto belle, lo consiglio), buio, si va in un giardino di ciliegi a chioma aperta, frondosi, sanissimi ed enormi e poi ci si incammina per le Vergini, che arriva dopo una piccola strozzatura. Le alberature sono preesistenti e importanti, come pure le architetture antiche, chiare, di mattoni a vista, con finestroni aperti sul cielo.
No, decisamente non saprei dire se il giardino di Oudolf mi convince del tutto. La sensazione è che sia Oudolf che fa Oudolf, e nella scelta di mettere in scena le sue piante preferite, dimentichi (volutamente?) che il teatro è piuttosto ingombrante e insidioso, che a duecento metri c’è il mare. Non c’è niente di neutro nel paesaggio architettonico e lagunare di Venezia, c’è sempre un po’ di Mediterraneo e un po’ di oriente, un po’ di contemplazione bizantina che forse vibra corde difficili da trovare. Le parti più riuscite sono le strisce di graminacee che restituiscono un diaframma che ci avvicina alla luce e al riverbero del nostro sole e mare.